mercoledì 10 settembre 2008

La raccolta dei pomodori



Il padrone ha la camicia bianca, i pantaloni neri e le scarpe impolverate. È pugliese, ma parla pochissimo italiano. Per farsi capire chiede aiuto al suo guardaspalle, un maghrebino che gli garantisce l'ordine e la sicurezza nei campi. "Senti un po' cosa vuole questo: se cerca lavoro, digli che oggi siamo a posto", lo avverte in dialetto e se ne va su un fuoristrada. Il maghrebino parla un ottimo italiano. Non ha gradi sulla maglietta sudata. Ma si sente subito che lui qui è il caporale: "Sei rumeno?". Un mezzo sorriso lo convince. "Ti posso prendere, ma domani", promette, "ce l'hai un'amica?". "Un'amica?". "Mi devi portare una tua amica. Per il padrone. Se gliela porti, lui ti fa lavorare subito. Basta una ragazza qualunque". Il caporale indica una ventenne e il suo compagno, indaffarati alla cremagliera di un grosso trattore per la raccolta meccanizzata dei pomodori: "Quei due sono rumeni come te. Lei col padrone c'è stata". "Ma io sono solo". "Allora niente lavoro".

Fabrizio Gatti - L'ESPRESSO - Italia 2007





Se le madri degli Stati liberi avessero avuto in passato i sentimenti che
avrebbero dovuto avere, i figli degli Stati liberi non avrebbero mai voluto
essere detentori e padroni proverbialmente crudeli di schiavi; i figli degli
Stati liberi non si sarebbero mai resi conniventi nell’estensione della
schiavitù sul nostro suolo nazionale, i figli degli Stati liberi non farebbero
commercio come fanno d’anime e di corpi umani, accettandoli quali
equivalenti di denaro nei loro affari mercantili. Vi sono moltitudini di
schiavi posseduti temporaneamente e rivenduti da negozianti di città
settentrionali: e dovranno la colpa e la vergogna della schiavitù ricadere
soltanto sugli Stati meridionali?


Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom


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